Dati dell’Istituto Superiore di Sanità – ISS e della Società Italiana dell’Ipertensione Artesiosa – SIIA indicano che il 33% della popolazione maschile italiana e il 31% di quella femminile soffre di pressione alta, in circa la metà dei casi con valori tali da essere a rischio di sviluppare infarto o ictus. Altrettanto allarmante è il dato relativo alla popolazione pediatrica, sempre più spesso soggetta a questa condizione di salute. Secondo una meta analisi del 2019, pubblicata su “Jama Pediatrics”, la prevalenza dell’ipertensione arteriosa in bambini e adolescenti sarebbe passata dall’1,3% della decade 1990-1999 al 6% del quinquennio 2010-2014. Un incremento notevole. Certo, in ambito pediatrico bisogna stare attenti alla definizione di ipertensione, che non è univoca a livello internazionale, ma è certo che la tendenza al sovrappeso incida anche sulla pressione sanguigna.
Come sappiamo, l’ipertensione è un notevole problema di carattere sanitario, perché si associa a un aumentato rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, ictus e insufficienza renale cronica. Va da sé che chi soffre di pressione alta deve mettere in atto una serie di accorgimenti, come ridurre l’uso di sale e grassi e aumentare l’attività fisica giornaliera, e assumere le terapie prescritte dal medico, ma un aiuto può venire anche dalla natura. Secondo una revisione pubblicata su “Nutrition and Food Technology: Open Access” e riportata in auge di recente da un team di esperti in medicine naturali (Tea Advisory Panel) in occasione dell’ultima “World Heart Day”, bere due o tre tazze di tè di Ibisco (Hibiscus sabdariffa) al giorno potrebbe aiutare a ridurre la pressione arteriosa. Nota come Karkadè, questa bevanda dal sapore particolarmente pungente, per la presenza di acidi organici, viene utilizzata da sempre in molte medicine tradizionali. Una volta messo sotto la lente di ingrandimento della scienza “occidentale”, se ne sono comprese le caratteristiche chimiche: i fiori di questa pianta sono ricchi di carotenoide luteina, di antociani, come la delfinidina 3-sambubioside e il cianidina 3-sambubioside, di polifenoli, tra i quali gli acidi clorogenici e acido protocatechuico, e di acidi organici, come detto, tra i quali l’acido idrossicitrico e l’acido ibisco. Più in generale, l’Ibisco è stato associato a proprietà antiossidanti e antimicrobiche.
La revisione sopra citata ha inoltre evidenziato la capacità di questa pianta, che appartiene alla famiglia delle Malvacee, di ridurre la pressione arteriosa, in particolare quella sistolica, per di più in soggetti patologici, già affetti da problematiche cardiocircolatorie: gli autori concludono che sia quindi possibile utilizzarla in associazione alle terapie più convenzionali per gestire il problema. Questi risultati si basano sull’analisi di 22 studi già presente in letteratura, 9 basaet su studi in laboratorio, 9 su studi randomizzati in uomo e 4 revisioni sistematiche. Ovviamente, questa non è la sola revisione che supporta l’uso del Karkadè. Carrie Ruxton, membro del Tea Advisory Panel, sottolinea come vi siano meta-analisi in letteratura che individuano una riduzione della pressione arteriosa associata all’assunzione di Ibisco, in particolare con cali della sistolica di 7,58 mmHg e della diastolica di 3,53 mmHg. Valori interessanti, perché riducono il rischio cardiovascolare e quello di incorrere in ictus.
Studio:
Etheridge CJ, Derbyshire EJ (2020) Hibiscus Tea and Health: A Scoping Review of Scientific Evidence. Nutr Food Technol Open Access 6(2): dx.doi.org/10.16966/2470-6086.167
Articolo di IFM – Stefania Somarè