Un articolo appena pubblicato sulla rivista Frontiers in Pharmacology propone un’interessante rassegna delle piante medicinali che, nel corso dei secoli fino a oggi, sono state utilizzate per trattare, alleviare o risolvere alcuni disturbi femminili, e in particolare quelli attinenti alla sfera ginecologica. La pubblicazione analizza, infatti, tutti gli articoli scientifici peer-reviewed riguardanti condizioni come la sindrome premestruale, la dismenorrea, l’amenorrea e in generale le alterazioni del flusso mestruale.
Il fil rouge dell’articolo è che un’ampia parte di questo patrimonio di conoscenze sia stato acquisito e trasmesso dalle donne che, nelle culture tradizionali, sono state preziose animatrici e custodi di un’elaborata esperienza di trattamenti e medicazioni ad ampio raggio.
Lo studio – che include tradizioni culturali diverse tra loro offrendo quindi una panoramica globale – ci racconta ad esempio che, per la sindrome premestruale, in Cina le erbe più comunemente usate sono Leonurus japonicus, Corydalis yanhusuo, Salvia miltiorrhiza, Scutellaria baicalensis, Pueraria lobata (kudzu) e Paeonia × suffruticosa, mentre in Iran per ridurre i sintomi fisici e psicologici associati a questa problematica si ricorre più spesso all’estratto di salvia, all’agnocasto e all’iperico. In Giappone, invece, sono ampiamente utilizzate le formulazioni erboristiche della medicina Kampo, tra l’altro rimborsate dal servizio sanitario nazionale, mentre l’utilizzo della valeriana in Sudafrica rimanda alle sue proprietà sedative, ipnotiche e ansiolitiche.
Le native americane – si legge più avanti – trattavano la dismenorrea con un decotto di Artemisia californica e frutti di Rhus glabra (il sommacco liscio), mentre un’indagine etnobotanica riferita all’Italia elenca in questo ambito 53 piante officinali, tra cui camomilla, capelvenere, achillea e alloro, in infusione o decotto. Per l’amenorrea la tradizione iraniana propone finocchio, menta selvatica (M. longifolia), sesamo o agnocasto e per trattare la menorragia il melograno. In India, invece, le bucce di melagrana alleviano la menorragia, mentre le donne birmane utilizzano bulbi di aglio per regolare il ciclo mestruale.
Il legame delle donne con le erbe – lo sappiamo – risale all’alba dei tempi. Guaritrici, infermiere, ostetriche, spesso itineranti, raccoglitrici e madri hanno trasmesso di generazione in generazione i segreti dell’utilizzo curativo delle piante. Medichesse e scienziate ante litteram l’hanno sistematizzato mantenendo vivo il sapere popolare. Per restare in ambito europeo, basta evocare i nomi di Ildegarda di Bingen, autrice di due trattati enciclopedici che raccolgono il sapere botanico e medico dell’epoca, inclusa una descrizione dettagliata del morbo di Parkinson secoli prima della sua descrizione scientifica (1817) e del ruolo della curcuma in questo contesto, e di Trotula de Ruggiero, della Scuola Medica Salernitana.
Le piante officinali sono, dunque, una risorsa delle donne e per le donne, non solo nelle società più remote, dove spesso rappresentano tuttora l’unico strumento disponibile, ma anche in Occidente, dove si stima una percentuale di uso dei preparati di origine vegetale al femminile dal 10 al 56%. Una survey italiana, ad esempio, riferisce che circa il 47% delle donne fa ricorso in modo più o meno regolare a erbe e preparati erboristici per vari disturbi, anche durante la gravidanza, o per i piccoli malanni dei loro bambini. Ed è stimata intorno al 27% la percentuale di coloro che, affette da patologie tumorali, utilizzano preparati vegetali durante le cure oncologiche, per alleviarne gli effetti collaterali talvolta gravosi.
Anche oggi, infatti, a fronte dello straordinario sviluppo della medicina e della farmacologia, alcune condizioni, ad esempio le vampate di calore da menopausa iatrogena, non trovano un adeguato conforto nei farmaci di sintesi, laddove alcune piante medicinali – tra tutte la Cimicifuga – possono contribuire ad alleviarli.
In questo mese, segnato dalla ‘Giornata internazionale della donna’, ricordiamo e ringraziamo perciò le erboriste e le scienziate delle erbe, di ieri e di oggi, per aver mantenuto viva questa tradizione e per alimentarne con passione lo sviluppo, anche attraverso l’attuale e assai prezioso lavoro di validazione scientifica.
Articolo di Mariella Di Stefano