Il termine pet-therapy, coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris M. Levinson, si riferisce all’impiego degli animali da compagnia per curare specifiche malattie.
In Italia, questo termine è stato recentemente sostituito con quello più appropriato di interventi assistiti con gli animali (IAA), che consente di distinguere tra diverse tipologie di approcci, a seconda che prevalga la componente cosiddetta ludico-ricreativa (attività assistita con gli animali, AAA), quella educativa (educazione assistita con gli animali, EAA) o quella terapeutica (terapia assistite con gli animali, TAA).
Per quanto riguarda l’operatività, le “Linee Guida Nazionali per gli Interventi Assistiti con gli Animali”, approvate in conferenza stato-regioni nel marzo 2015, oltre a definire standard operativi per la corretta e uniforme applicazione degli interventi assistiti con gli animali (IAA) sul territorio nazionale, forniscono indicazioni sui compiti e le responsabilità delle diverse figure professionali e degli operatori che compongono l’équipe multidisciplinare coinvolta in questo tipo di iniziative (veterinari, medici, psicologi, educatori, educatori cinofili, etologi).
Le linee guida, inoltre, individuano, specificandoli, i percorsi formativi da seguire per acquisire le competenze necessarie per lavorare nell’ambito degli IAA.
Numerose evidenze scientifiche dimostrano le potenzialità dell’impiego degli animali come strumento di cura, in particolare negli ospedali e nelle case di riposo per anziani, strutture in cui le persone sono separate dall’affetto e dal supporto dei propri cari. La presenza di un animale agisce come un “rompighiaccio”, offre argomenti di conversazione e, in ultima analisi, stimola la comunicazione e le relazioni sociali.
Anche nel caso di persone affette da disturbi dello spettro autistico, che presentano difficoltà a comunicare e interagire con gli altri, l’introduzione di cani nelle sedute terapeutiche ha avuto effetti incoraggianti: rapido miglioramento del livello di attenzione e della frequenza delle interazioni sociali, sia verbali sia non verbali, e riduzione delle stereotipie comportamentali, cioè di quei movimenti ripetuti senza apparente scopo che spesso caratterizzano il disturbo.
La capacità degli animali di rappresentare un ponte, di favorire le relazioni sociali umane, ha implicazioni pratiche non solo nei percorsi di cura ma anche in ambiti educativi. Diversi interventi per la promozione del rapporto bambino-animale effettuati con l’aiuto degli animali da compagnia, soprattutto dei cani, hanno mostrato la loro efficacia nel contrastare alcuni problemi comportamentali quali, ad esempio, difficoltà di apprendimento, spesso dovute a deficit di attenzione, ed episodi di aggressività. Inoltre, hanno evidenziato il ruolo prezioso che gli animali possono svolgere per facilitare l’integrazione sociale nell’ambiente scolastico, risultato particolarmente importante per i bambini e gli adolescenti con patologie caratterizzate da ritardo nello sviluppo.
Numerose evidenze scientifiche dimostrano come crescere con un animale influisca positivamente sullo sviluppo della personalità dei bambini, aumentando l’autostima, la fiducia in sé stessi e migliorando l’empatia (vale a dire, la capacità di comprendere lo stato d’animo degli altri) e il senso di responsabilità.
Infatti, la relazione che si stabilisce con l’animale e il rapporto con esso, soprattutto durante il gioco, possono contribuire a favorire, nel bambino, i comportamenti sociali facilitando, così, le modalità di approccio e di interazione tanto con gli altri bambini che con gli adulti. I meccanismi alla base degli effetti descritti sono ancora in fase di studio.
È noto che la sola presenza di un animale durante situazioni percepite come stressanti (per esempio, leggere ad alta voce davanti ad altre persone) riduca i livelli di ansia, la pressione sanguigna e il battito cardiaco. Studi scientifici hanno mostrato come il contatto fisico con un animale induca una riduzione, nel sangue, dei livelli degli ormoni responsabili della risposta allo stress (cortisolo).
Parallelamente, esso causa un aumento delle quantità di ormoni e neurotrasmettitori in grado di determinare emozioni positive (endorfine e dopamina) e di ridurre l’ansia e lo stress. Ciò determina anche un miglioramento delle relazioni
con gli altri e dell’umore (attraverso la stimolazione dell’ossitocina, un neuropeptide secreto dall’ipotalamo). I risultati delle ricerche più recenti dimostrano, inoltre, come relazioni basate sull’affetto e l’attaccamento possano effettivamente stabilirsi tra specie diverse e determinino anche una regolazione reciproca delle emozioni e dei comportamenti.
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Dott.ssa Elisa Bittafava