Eh sì, questa è una delle poche certezze che abbiamo: il mondo invecchia. È un dato di fatto che le persone vivono più a lungo.
Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, in tutti i Paesi del Pianeta si registra una crescita sia delle dimensioni, sia della percentuale di individui anziani nella popolazione. Entro il 2030, una persona su 6 nel mondo avrà 60 anni o più. Entro il 2050, la popolazione mondiale di persone over 60 sarà raddoppiata, raggiungendo i 2,1 miliardi. Si prevede, inoltre, che il numero di persone di 80 o più anni triplicherà tra il 2020 e il 2050.
Nonostante queste significative evoluzioni in termini di aspettativa di vita, esiste un divario tra la durata della vita e lo stato di salute delle persone.
È inutile sottolineare quanto un aumento dell’età media della popolazione abbia un impatto non indifferente sulle tematiche economiche e sociali. Una ricerca della Glenn Foundation (il cui obiettivo è estendere gli anni di vita in buona salute attraverso la ricerca sui meccanismi biologici che regolano il normale invecchiamento umano e il relativo declino fisiologico) mostra come oggi, considerando una vita media delle persone di 85 anni, il periodo in cui cominciano a manifestarsi problemi di salute è intorno ai 55 anni, implicando dunque che le persone (sempre in media) vivono gli ultimi 30 anni della loro vita in uno stato di non completa salute. Pensando ai possibili scenari futuri si possono immaginare due situazioni opposte: una idilliaca e una tremenda.
Oggi, considerando una vita media delle persone di 85 anni, il periodo in cui cominciano a manifestarsi problemi di salute è intorno ai 55 anni, implicando dunque che le persone in media vivono gli ultimi 30 anni della loro vita in uno stato di non completa salute.
La prima si avrebbe qualora, a fronte di un aumento della vita fino a 100 anni, lo stato di benessere durasse fino a 90, quindi con soli 10 anni di salute in crisi. Lo stesso concetto dei 10 anni si potrebbe applicare anche a durate della vita inferiori ai 100 anni.
Il vero problema sorgerebbe invece qualora, grazie a ricerche scientifiche, la durata della vita fosse allungata, ma lo stato di benessere no. Per esempio, immaginiamo che la vita duri fino a 95-100 anni, ma l’inizio del malessere rimanga intorno ai 55. Vorrebbe dire 40-45 anni di vita in condizioni di salute non ottimali, con tutto ciò che ne consegue a livello personale e sociale.
Da qui il nuovo concetto di “longevity”, intesa non come un numero (quanti anni viviamo), ma come qualità della vita vissuta, che spinge i ricercatori a sviluppare soluzioni che consentano alle persone di vivere piЭ a lungo, ma in modo più sano. A ben vedere, dal punto di vista teorico, non stiamo dicendo niente di nuovo: l’idea di mantenere sano il sano è qualcosa di cui, nel mondo della farmacia, si parla da molto tempo. Naturalmente i progressi fatti da scienza e tecnologia introducono sul mercato pratiche quali l’ossigeno-ozono terapia, la crioterapia, la terapia a raggi infrarossi e quella di infusione endovenosa, per giungere fino al complicato biohacking.
Ma non possiamo trascurare i fondamenti del concetto di longevity, vale a dire la sana alimentazione (con la corretta integrazione), l’attività fisica, la qualità del sonno, la vita sociale e il pensiero positivo. E questo lo dicono ricerche e studi effettuati in tale ambito.
Dunque che c’entra la farmacia?
Viene da sé che ci sono diversi ambiti in cui è toccata e può essere coinvolta. Si pensi anche solo a come ciò di cui abbiamo parlato impatta sulle logiche del beauty.
Come una farmacista illuminata mi diceva già anni fa, la vera sfida è saper unire i puntini: essere cioò in grado di vedere la persona nel suo insieme, in modo olistico.
Senza pretendere di essere tuttologi, ma con la consapevolezza di avere una visione a 360° sul cliente che si ha di fronte, il/la farmacista può prendere in considerazione i diversi aspetti dello stile di vita sui quali intervenire per migliorarne la qualità. Con un approccio estremamente pragmatico e competente, come viene ormai richiesto.
Perché la “longevity” non è un numero.
Articolo di Farmamese – scritto da Roberto Valente