Il carciofo (Cynara scolymus L., Cynara cardunculus var scolymus oppure Cynara cardunculus subsp scolymus) è una pianta erbacea perenne, specie o ecotipo di origine mediterranea che fa parte della famiglia delle Asteraceae.
Originaria dell’Europa mediterranea meridionale, dell’Africa settentrionale e delle Canarie, l’uso medicinale e la coltivazione in Europa risalgono all’antica Grecia e all’Impero Romano; con la caduta di quest’ultimo, il carciofo fu dimenticato per poi essere reintrodotto più tardi dagli Arabi. In commercio, il carciofo è presente sotto forma di foglie essiccate intere o in taglio tisana, provenienti principalmente dal sud Europa e Nord Africa.
Gli estratti di Cynara Scolymus, ottenuti da diverse parti della pianta (foglie, frutti e radici), sono stati usati come medicamenti fin dai tempi antichi. Dal capolino, raccolto prima della fioritura, si ottiene invece l’estratto secco. L’Italia e la Spagna sono i principali produttori mondiali. L’estratto alcolico delle foglie, attualmente utilizzato per la produzione di liquori amari (circa 10 g di foglie secche per litro), è un rimedio popolare tradizionale per i disturbi dispeptici, nonché sapore principale di un liquore italiano.
Descrizione botanica
Principalmente, il carciofo viene coltivato per l’87% nei Paesi lungo le coste del bacino del Mediterraneo, dove trova le condizioni ideali di crescita e riproduzione, prediligendo dunque un clima temperato. Le basse temperature invernali determinano il tipo di carciofo da coltivare: nel sud e vicino alle coste, prevale la cultivar precoce, mentre nelle zone interne e settentrionali sono presenti solo cultivar primaverili o tardive. In Italia, il carciofo è coltivato su una superficie di 43.000 ettari, fornendo una produzione di circa 50.000 t (il 43% della produzione mondiale, seguita da Spagna e Francia con circa il 15%), per circa 600 milioni di euro (FAOSTAT, 2007).
È una pianta robusta che raggiunge 1,5 m di altezza, con fusti angolosi e grandi foglie lobate, vellutate, biancastre sulla faccia superiore. Le infiorescenze sono dei capolini solitari di grande taglia che raggiungono 15 cm di diametro le cui brattee, che circondano un gruppo centrale di fiori tubulosi viola-blu, carnose alla base sono commestibili con il ricettacolo, peraltro ricco di inulina. Gli acheni hanno una forma ovoidale, quadrangolare, glabra, con un pappo bianco. La foglia, arcuata, profondamente lobata, argentata glauco-verde, lunga da 50 a 80 cm, contiene cinarina, derivato dell’acido caffeico, il quale sembra uno dei costituenti più attivi nel trattamento di determinate patologie. Il carciofo viene generalmente propagato tramite “ovoli” (germogli dormienti sotterranei), propaggini o germogli essiccati dalla pianta madre. Il consumo globale di carciofi è aumentato del 44% negli ultimi 20 anni: l’interesse per la cucina locale è giustificato dal tentativo di recuperare le colture appartenenti alla tradizione popolare e il mantenimento della diversità biologica che rappresenta la chiave di qualsiasi futura strategia per una produzione agricola sostenibile.
Un numero elevato di ecotipi esiste in tutto il mondo e oltre 70 varietà di carciofo sono state caratterizzate in base alle proprietà fitochimiche4. Tuttavia, la stessa varietà o cultivar può talvolta ricevere un nome diverso in base al paese di coltivazione, determinando in tal modo una grande confusione nella corretta individuazione. Pertanto, è necessario un sistema di marcatori molecolari specifico per l’identificazione. Per molte specie, le relazioni genetiche basate su marcatori molecolari sono coerenti con le aspettative fondate sulla genealogia e sui comportamenti riproduttivi. Nondimeno, le considerazioni che derivano da tecniche di variabilità genetica (ad es. Analisi di marcatori fitochimici) non rivelano sufficienti livelli di polimorfismo che possono essere utilizzati per rilevare differenze genetiche tra genotipi. L’analisi del DNA polimorfico amplificato casuale (RAPD), secondo uno studio, potrebbe essere invece un utile marcatore molecolare, che utilizza la PCR per differenziare i genomi delle piante a livello del DNA.
Le problematiche dell’addomesticazione
La segmentazione della specie Cynara cardunculus è particolarmente interessante perché, sebbene corrisponda ad una singola specie biologica, include due taxa selvatici e due colture; uno dei cultigeni, il carciofo, è stato tradizionalmente propagato per via vegetativa e l’altro, il cardo frondoso coltivato, è propagato da semi. Da tenere in considerazione è la preferenza dei membri della famiglia delle Asteraceae per gli habitat aperti e disturbati, che facilita la formazione delle infestanti; peraltro, il passaggio evolutivo infestante è stato verificato più volte.
Il centro di origine di una coltura corrisponde spesso al suo centro di diversità, cioè l’area in cui la pianta è esistita per più tempo e ha dunque accumulato una variazione genetica di un certo spessore; questo alto grado di variazione si evidenzia a livello genetico in tutta la popolazione. Si noti che l’Italia rappresenta un centro di diversità per il carciofo, ma anche per le popolazioni selvagge di cardo. Ciò potrebbe suggerire che il probabile centro di origine del carciofo è l’Italia meridionale, in particolare la Sicilia. Durante i secoli, molte cultivar e ecotipi di carciofo si sono differenziati in Italia ma solo quattro gruppi morfo-produttivi sono stati riconosciuti e localizzati: Spinoso, Violetto, Catanese e Romanesco.
Il materiale di propagazione potrebbe essere stato selezionato dagli agricoltori sulla base di tratti eterotici associati ad un alto livello di eterozigosità; effetti eterotici sono stati osservati anche in individui ibridi derivati dall’incrocio del carciofo con il suo progenitore selvatico, che porta a piante più grandi e più robuste. In uno studio, il carciofo ha infatti mostrato un livello molto alto di eterozigosità. Dempewolf et al. hanno suggerito che il carciofo è considerato semi-addomesticato poiché non presenta importanti alterazioni genetiche, sebbene mostri una considerevole differenziazione e un miglioramento fenotipico. Si noti che la selezione, nel tempo, si è verificata per l’addomesticazione al fine di ottenere un carciofo di grandi dimensioni, principalmente per l’uso alimentare piuttosto che medicinale.
Sulla base degli scrittori romani Plinio il Vecchio (23-79 d.C., in Naturalis historia) e Columella (I sec. DC; in De re rustica), Foury sostenne, relativamente ad analisi genetiche, che la coltivazione del carciofo iniziò intorno al I secolo d.C.. Sonnante et al. mentre sostengono che a quel tempo l’addomesticamento del carciofo era già un processo in corso. Le colture a propagazione vegetativa di solito sono piante ibride i cui individui consanguinei soffrono di depressione da consanguineità, spesso espressa con una riduzione della fertilità. I cloni altamente eterozigoti di varietà locale, venivano presumibilmente scelti in modo selettivo e moltiplicati dai coltivatori perché erano vigorosi. Il problema nasce dalla ricombinazione sessuata che spesso abbatte le combinazioni genetiche favorevoli, mentre la moltiplicazione vegetativa li preserva. La propagazione vegetativa del carciofo, però, avrebbe bloccato alcuni tratti specifici e in qualche modo rallentato la sua evoluzione. Solo la mutazione somatica può essere la fonte di nuove combinazioni alleliche, sebbene anche l’ereditarietà epigenetica transgenerazionale possa essere la causa di una variazione fenotipica ereditabile.
Durante il processo di addomesticamento si è dunque verificata una perdita di diversità genetica; l’assenza di ricombinazione sessuata porta alla perdita di alcune costituenti fondamentali della diversità.
Usi medicinali
Gli estratti di carciofo possiedono molte proprietà medicinali, tra cui anticancerogene, anti-virus dell’immunodeficienza umana, antiossidanti, abbassanti il colesterolo, drenanti la bile, epatoprotettive e attività diuretiche, nonché proprietà antifungine e antibatteriche. Le foglie sono state ampiamente utilizzate in ragione dell’attività coleretica da tempi remoti; ma oggi sappiamo, anche in seguito a conferme scientifiche, che l’effetto va ben oltre la suddetta azione, a dimostrazione dell’ampia e articolata attività dell’intero fitocomplesso. L’elevata capacità antiossidante del carciofo è dovuta principalmente ai flavonoidi (cinaroside) e agli acidi fenolici, in particolare l’acido 5-caffeoilchinico, noto anche come acido clorogenico, l’acido 1,3-dicaffeoilchinico (cinarina), l’acido 1,5-dicaffeoilchinico e l’acido caffeico, che sono abbondanti nel carciofo. La foglia contiene anche lattoni (come la cinaropicrina). L’acido clorogenico può essere assorbito direttamente dall’intestino tenue o idrolizzato dalla microflora dell’intestino crasso per rilasciare l’acido caffeico il quale mostra lo stesso potere antiossidante. I risultati di uno studio hanno dimostrato che è precisamente un enzima ad essere direttamente coinvolto nella sintesi dell’acido clorogenico. Inoltre, l’aumento della sintesi di cinarina sembra essere direttamente o indirettamente legata all’aumento della sintesi dall’acido clorogenico.
Quest’ultimo è sintetizzato da molte piante, come alcune specie di solanacee, e pare ricopra ruoli importanti nel contrasto dei radicali liberi, nella colorazione di frutta e verdura, nella difesa contro patogeni fungini e nella resistenza agli insetti. Le vie biosintetiche che portano alla sua formazione non sono ancora completamente definite ma una migliore comprensione della produzione di acido clorogenico e di cinarina nel carciofo è importante per sviluppare strumenti agronomici, genetici o biotecnologici al fine di migliorare la produzione di composti biologicamente attivi.
Gli effetti farmacologici e terapeutici del carciofo erano già noti nel XVII secolo e riguardano principalmente la funzione epatica. La foglia è considerata coleretica (aumento della bile), epatoprotettiva, ipocolesterolemizzante, diuretica, lassativa, depurativa, stimolante l’appetito. L’interesse per il carciofo come medicamento fu perso intorno alla metà del 19° secolo e ripreso nuovamente nella prima metà del 20 ° secolo, quando gli scienziati francesi avevano descritto i carciofi come potenziali rimedi contro i disturbi del fegato. I carciofini sono inoltre un alimento molto utilizzato in cucina, essi furono dapprima coltivati a Napoli intorno alla metà del XV secolo e si dice che siano stati introdotti in Francia da Caterina de ‘Medici. Gli olandesi introdussero i carciofi in Inghilterra, dove stavano crescendo nel giardino di Enrico VIII a Newhall nel 1530. Furono introdotti negli Stati Uniti nel 19° secolo, in Louisiana dagli immigrati francesi e in California dagli immigranti spagnoli.
Secondo un recentissimo studio, il carciofo utilizzato come alimento ha un’efficacia epatoprotettrice uguale a quella degli estratti commerciali a base di foglie, principalmente nel ridurre la lesione causata dal CCl4. L’efficacia evidenziata dall’assunzione del carciofo come alimento è maggiore di quella nel gruppo ricevente silimarina.
Negli anni ’60 fu trovata una delle sostanze attive chiamata cinarina, identificata e commercializzata con successo come agente epatoprotettivo. In breve tempo, questa componente attiva fu isolata e alcuni ricercatori italiani ne idendificarono la struttura chimica, consentendone così la sintesi. L’indice Merck riporta la categoria terapeutica della cinarina come coleretica. Successivamente, alcune preparazioni di sintesi a base di cinarina furono dunque usate con successo per trattare i disturbi del fegato e della cistifellea, oltre a ridurre i valori lipidici e il colesterolo anche se, nel corso degli anni, sono stati sostituiti da farmaci più specifici. Anche per la Commissione E, come nelle monografie ESCOP, l’attività coleretica è fondamentale. Ma è negli ultimi dieci anni che l’estratto acquoso delle foglie di carciofo ha riacquistato un valore adeguatamente riconosciuto: è stata ufficialmente documentata la sicurezza e l’efficacia se ottenuto attraverso un processo conforme alle pertinenti normative farmaceutiche internazionali. In Germania, oggi viene usato come coleretico, per le sue azioni ipolipemizzanti, epato-stimolanti e stimolanti l’appetito. Persino nella fitoterapia brasiliana i preparati fogliari sono usati per problemi di fegato e cistifellea, diabete, colesterolo alto, ipertensione, anemia, febbri, ulcere e gotta.
Per quanto riguarda l’Italia, il carciofo è menzionato nella X edizione della farmacopea italiana come estratto secco nebulizzato titolato in acidi caffeoilchinici, calcolati come acido clorogenico min. 13% e max. 18%.
Una recentissima systematic review e meta analisi prende in considerazione un totale di 66 studi di cui solo 9 soddisfano i criteri stabiliti, per un totale di 702 partecipanti. Quelli che consumano estratto di carciofo hanno avuto una diminuzione significativa del colesterolo totale, del colesterolo di LDL e dei trigliceridi. I ricercatori hanno proposto tre meccanismi potenziali da cui il carciofo potrebbe produrre tali effetti, uno dei quali evidenzia che la luteolina interferisce con l’attività della 3-idrossi-3-metilglutaril-coenzima A reduttasi (HMG-CoA), l’enzima primario responsabile per il controllo della frequenza con cui il corpo umano sintetizza il proprio colesterolo dal suo precursore acido mevalonico. La luteolina inoltre, probabilmente insieme ad altre sostanze, interagisce con le proteine leganti l’elemento regolatore degli steroli (SREBPs) e l’acetil-CoA C -acetiltransferasi (ACAT). Gli effetti ipolipemizzanti sembrerebbero peraltro indipendenti dal dosaggio e dalla durata. Questo studio ha però due importanti limitazioni: la piccola dimensione del campione e la variazione nella concentrazione e nel dosaggio dell’estratto. Lo studio tuttavia suggerisce che il carciofo può essere degno di ulteriore studio per quanto riguarda la sua attività ipolipemizzanti. Tale studio conclude che l’estratto del carciofo è stato associato ad una riduzione significativa del colesterolo totale ed LDL e dei trigliceridi, suggerendo che può operare anche in sinergia con la terapia farmacologica.
L’effetto ipolipidemizzante ed epatoprotettivo, secondo alcuni ricercatori, è dovuto all’effetto antiossidante di alcune sostante quali cinarina, acido clorogenico, acido caffeico, sesquiterpeni volatili e flavonoidi come il glicoside scolimoside, ma ad abbassare i livelli di lipidi può anche essere l’accelerazione del tasso di escrezione di acidi biliari fecali. Tuttavia, una precedente meta-analisi di tre studi clinici randomizzati ha rivelato limitazioni che possono precludere conclusioni definitive sull’efficacia del carciofo. Questa revisione sistematica e meta-analisi ha preso in considerazione il colesterolo a bassa densità (LDL) che sarebbe diminuito nei soggetti che assumono l’estratto. Tali prove tuttavia non presentano randomizzazione, non hanno incluso un gruppo placebo e hanno escluso gli endpoint.
L’estratto di foglie di carciofo, in un recentissimo studio, ha ridotto il colesterolo totale, l’LDL, le lipoproteine ad alta densità (HDL) e le concentrazioni dei trigliceridi. Questo studio ha dimostrato gli effetti benefici di tale estratto sui parametri degli ultrasuoni del fegato e del siero (rapporto tra ALT, AST, APRI e bilirubina totale) in pazienti con steatosi epatica non alcolica.
In un altro recentissimo studio preclinico, la tintura di foglie di carciofo ha limitato gli effetti della dieta aterogenica attraverso la riduzione dell’MPC-1 (proteina chemo-attraente per i monociti), impedendo di conseguenza il danno ossidativo.
L’estratto di foglie di carciofo non solo ha avuto la capacità, in un recente studio, di ridurre il colesterolo ma riduce anche i livelli di glucosio nel sangue e di riparare la funzione e i danni renali. Questi risultati sono significativi in particolare perché l’ipercolesterolemia provoca ulteriori complicazioni come il diabete e danni ai reni, entrambi i quali possono essere trattati efficacemente con il carciofo.
Non sono stati osservati effetti collaterali avversi, raramente reazioni allergiche, diarrea e dolori addominali, disordini epigastrici come nausea e bruciore di stomaco. L’unica precauzione è quella di attenzionare l’assunzione di prodotti a base di carciofo nel caso di ostruzione del dotto biliare. Da attenzionare anche la qualità della droga.
Articolo di Fabio Milardo