“Farsi infinocchiare”, locuzione che significa “non farsi influenzare”, prende spunto proprio dal finocchio che era offerto dall’oste quando voleva dar da bere ad un cliente un vino scadente, il cui gusto veniva migliorato dal forte aroma. Il Foeniculum (dal latino “foenum”, fieno, per l’uso foraggero che se ne faceva) è stato coltivato dagli antichi romani per il suo frutto aromatico e la succulenta parte edibile (grumulo); i semi di finocchio sono stati trovati persino nelle tombe dei faraoni egiziani. Il finocchio è stato anche adoperato come un’erba magica: nel medioevo fu posto sopra le porte la vigilia di mezza estate per proteggere la famiglia dagli spiriti maligni.
È una pianta erbacea annuale, biennale o perenne alta da 40 cm fino a 2 mt; glabra e glauca, ha foglie con la base ingrossata e guainante ed in alto completamente divise in lacinie filiformi. La porzione appena interrata è di norma nodosa ed annulata (grumolo), da cui si dipartono i fusti; i fiori sono gialli disposti in ombrelle terminali; il frutto (comunemente chiamato seme) è un achenio lungo 4-7 mm.
Le varietà.
Esistono molte varietà di finocchio ed una classificazione è praticamente impossibile a causa della tendente ibridizzazione. Di Foeniculum vulgare subsp. vulgare esistono 3 varietà: la “vulgare” è il finocchio amaro, usato spesso per adulterare la varietà dolce nella produzione dell’olio essenziale, con una quantità inferiore di anetolo; la varietà “azoricum”, annuale, chiamato finocchio, finocchio di Firenze o anice, ha il grumulo dolce ed edibile; la varietà “dulce” chiamato finocchio, finocchio dolce o romano, ha un frutto più grande, molto aromatico, coltivato soprattutto per la pregiata qualità dell’olio essenziale, che viene raccolto a maturazione: è una varietà precocissima adatta per la semina.
La subsp. piperitum è invece il finocchio selvatico o pepato, specie perenne e nota pianta aromatica mediterranea utilizzata in cucina che si può trovare in diverse aree temperate del mondo fino ai 1000m di altitudine; è caratteristica lungo le strade, i sentieri e i luoghi aridi.
Le varietà descritte appartengono a due sub-specie che variano morfologicamente:
-nel numero dei raggi dell’ombrella, 12-25 o più nella subsp. vulgare e 4-10 della subsp. piperitum
-nella forma delle foglie, che sono flessibili e lunghe più di 10 mm nella subsp. vulgare, ridottissime e rigide nella seconda;
inoltre, quest’ultima è sempre perenne e non ha il grumolo, mentre la subsp. vulgare è spesso biennale ed ha un grumolo voluminoso ed edibile.
Tralasciando l’approvazione di tale sistematica, il Foeniculum vulgare Mill. potrebbe essere confuso con l’aneto (Anethum graveolens L.) e con il falso aneto per l’aspetto fogliare e il colore dei fiori, ma distinguibile dall’aroma dell’aneto in quanto più simile al cumino e da quello del falso aneto che è pungente e poco gradevole.
Usi tradizionali
È una pianta adoperata ampiamente nelle medicine tradizionali come la Ayurveda, Unani, Siddha, in quelle indiane e iraniane, con metodi di preparazione ed uso che fanno parte di una ben documentata letteratura etnobotanica. I frutti maturi e l’olio essenziale di finocchio sono usati come agenti aromatizzanti nei prodotti alimentari: i frutti in particolare sono utilizzati per produrre liquori, pane e formaggio, mentre l’olio essenziale è anche un ingrediente di prodotti cosmetici e farmaceutici.
Anticamente in Sicilia si masticava il finocchio selvatico o quello dolce per l’acidità di stomaco (oggi sappiamo che tale effetto va sfruttato in uno stomaco la cui mucosa gastrica è intatta), mangiato nelle minestre come galattogeno e nella galattorrea; veniva inoltre applicato per curare i “polipi agli occhi” ed usato come depurativo e diuretico il decotto dei semi. In Basilicata invece le foglie più tenere venivano masticate e bloccate sull’ulcera per curare le stomatiti mentre il decotto dei frutti veniva utilizzato per i disordini digestivi; in Liguria, come sedativo, si dava da mangiare ai bambini i germogli apicali; mentre a Roma invece si masticavano, o si usavano come condimento, i frutti per avere l’effetto galattogeno. Tradizionalmente in Europa e nelle aree mediterranee il finocchio è usato come antispasmodico, diuretico, antinfiammatorio, analgesico, secretomotorio, secretolitico, galattogeno e come collirio.
Usi medicinali
Viene utilizzato principalmente per la sua attività antispasmodica che ha trovato conferma anche da evidenze cliniche: agendo sulla funzionalità della muscolatura liscia migliora la spasticità nei disturbi gastrointestinali anche nei bambini (flatulenza, coliche gassose, sindrome del colon irritabile, colite cronica, dispepsie), mentre l’olio essenziale regolarizza la motilità e riduce la produzione di gas intestinale.
Alcuni studi farmacologici sembrano confermare l’attività espettorante dei frutti i quali stimolano la motilità ciliare dell’apparato respiratorio facilitando l’eliminazione dei corpuscoli estranei, l’olio essenziale invece stimola la contrazione della muscolatura liscia della trachea facilitando l’espettorazione.
L’effetto galattogeno sembra, da evidenze sperimentali, essere dovuto principalmente all’anetolo, il quale sembra sia di tipo selettivo nella ghiandola mammaria: esso (probabilmente meno potente dei suoi polimeri) compete con la dopamina, inibitore della prolattina, stimolando la produzione di latte.
Riguardo l’attività antimicrobica, la letteratura è ricca di dati: tutti gli studi sono stati effettuati sugli estratti grezzi ed è difficile individuare il metabolita antimicrobico attivo. Al di là di questo, l’olio essenziale non sembra avere un’attività antibatterica molto pronunciata, ma è risultato efficace ad ampio spettro su 25 ceppi batterici patogeni.
La Commissione E ha approvato l’uso interno dell’olio essenziale di finocchio per disturbi spastici del tratto gastrointestinale, sensazione di pienezza, flatulenza e anche per disturbi delle vie respiratorie superiori come il catarro; infatti il miele al finocchio è stato nello specifico raccomandato per contrastare il catarro nei bambini.
La composizione
Il finocchio è ricco di fibre e vitamine ed è una delle più alte fonti vegetali di potassio, sodio, fosforo e calcio. I carboidrati sono i macronutrienti più abbondanti in tutte le parti e vanno dai 18,44 ai 22,82 g / 100 g, mentre le proteine, gli zuccheri riducenti, e i grassi sono i macronutrienti meno abbondanti; le proteine nello specifico variano tra 1,08 g / 100 g nei gambi e 1,37 g / 100 g nelle infiorescenze. Inoltre, le infiorescenze e i gambi hanno il più alto contenuto di grassi (1,28 g / 100 g) e minore è il contenuto dello zucchero (1,49 g / 100 g), rispettivamente, tra tutte le parti di finocchio. Le infiorescenze hanno i valori più alti di energia, mentre le foglie e steli ne hanno un contenuto più basso.
Sono state condotte molte ricerche fitochimiche, con risultati diversi, per analizzare la composizione dell’olio essenziale; ad influenzare la composizione dell’olio essenziale del finocchio sono le varietà, il tempo e il luogo di raccolta o di coltivazione, nonché la conservazione. I principali componenti sono derivati dei fenilpropanoidi: trans-anetolo, estragolo (metil cavicolo), e poi alfa-fellandrene, limonene, fenchone, e alfa-pinene. È quindi molto difficile stabilire la quantità di estragolo effettiva presente nell’olio essenziale.
La presunta tossicità
Un lavoro pubblicato qualche anno fa su “Food and Chemical Toxicology“ ha suscitato una larga eco sul web e sulla stampa; in seguito a tale studio il finocchio è stato accusato di tossicità soprattutto se usato come decotto per i bambini: la sostanza imputata è l’estragolo, un fenilpropanoide presente in quantità variabili nel basilico, nel finocchio e nell’anice. Gli autori hanno misurato, in vari campioni di tisane al finocchio in commercio in Italia, il contenuto di estragolo: alcune di queste tisane conterrebbero quantitativi di estragolo che, a parere degli autori, potrebbero rappresentare un pericolo se assunti dai bambini nei primi mesi/anni di vita. Essi segnalano anche che alcune tisane solubili in vendita in Italia, appositamente formulate e commercializzate per lattanti e bambini, contengono quantità di estragolo che meritano attenzione.
Ciò che ha destato sospetto è la genotossicità in vitro e la cancerogenicità dell’estragolo in studi su roditori, l’interpretazione dei quali ha suscitato critiche e perplessità tra gli esperti. I motivi cruciali della disapprovazione riguardano precisamente 4 punti:
I dati ottenuti in modelli animali non sono sovrapponibili a quelli ottenuti negli esseri umani.
Le alte dosi di estragolo puro applicate negli studi non rappresentano le dosi reali a cui gli esseri umani sono esposti come consumatori di cibi e fitofarmaci contenenti tale sostanza. L’esposizione negli esseri umani avviene sempre a dosaggi molto più bassi e per tempi minori di quella a cui sono stati sottoposti gli animali da laboratorio, molte volte viene somministrato estragolo per quasi tutta la vita dell’animale da laboratorio.
Gli studi sul metabolismo dell’estragolo rivelano differenze quantitative tra il metabolismo dell’estragolo nei topi e negli uomini.
È stato dimostrato che una sostanza somministrata in forma isolata può avere effetti significativamente diversi dalla stessa assunta nel suo fitocomplesso.
I suddetti elementi non sono stati considerati nella valutazione del rischio nella misura in cui questa dovrebbe comunque essere basata su dati adeguati raccolti in studi relativi agli esseri umani. C’è anche da tenere presente che non esistono studi epidemiologici e clinici che possano confermare la cancerogenicità osservata nell’animale da esperimento, ma considerando il lungo uso tradizionale dell’infuso di finocchio, la probabilità di un grave rischio è trascurabile.
Una miscela multicomponente come l’infuso di finocchio contiene sostanze che potrebbero ridurre notevolmente gli effetti tossici di alcune molecole presenti le quali, valutate singolarmente, sono dannose: l’estragolo puro ed i suoi metaboliti sono infatti inattivati da molte sostanze contenute nel decotto e nell’infuso; i conseguenti effetti avversi sono ridotti quando l’estragolo è ingerito nel proprio contesto fitochimico.
L’estragolo è metabolizzato lungo una serie di pathway metabolici tra cui O-demetilazione (che dà il cavicolo), epossidazione del doppio legame, 1′-idrossilazione e degradazione ossidativa della catena laterale di acidi carbossilici. Le dosi alte conducono alla saturazione di alcuni sistemi enzimatici che causano l’attivazione di reazioni metaboliche alternative come la 1′-idrossilazione che, nel topo, è la principale via metabolica che determina la produzione di derivati con maggiore potenziale cancerogeno (1-idrossiestragolo). Jeurissen et al. (2008) hanno dimostrato che un estratto metanolico di basilico è in grado di inibire il legame del metabolita 1′-idrossiestragolo al DNA, sia su DNA in vitro sia su cellule di epatomacarcinoma HepG2 intatte, bloccando quindi il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare. L’attivazione dell’estragolo, dei suoi metaboliti ed i conseguenti effetti avversi sono quindi ridotti quando l’estragolo è ingerito col suo fitocomplesso rispetto a quando viene somministrato come sostanza isolata. A questo proposito si conferma dunque l’ipotesi che altre molecole presenti nell’estratto sono in grado di bloccare il meccanismo responsabile dell’avvio del danno cellulare.
Altra critica si può fare alla modalità di somministrazione dell’estragolo nei topi: essa viene eseguita in pochi minuti mediante siringa o sondino gastrico (gavage) ed è di fatto insolita nell’uomo; il rischio di tossicità potrebbe aumentare perché l’assorbimento è più veloce e si espone il fegato ad alti livelli della sostanza. Tale somministrazione può alterare il metabolismo e produrre effetti tossici che non si verificano quando la stessa dose giornaliera viene somministrata con la dieta. L’uomo in genere ingerisce minori quantità della sostanza che si trova nel proprio contesto fitochimico, non tutti i giorni né per lunghi periodi. Le piante la cui composizione comprende estragolo non fanno tra l’altro parte dell’alimentazione abituale del topo bensì dell’uomo, il quale è esposto da millenni a quantità normali di estragolo, e quindi potrebbe essersi adattato sviluppando, rispetto al topo, una diversa tolleranza.
EFSA ed EMEA hanno preso posizioni allarmistiche al riguardo, effettuando misure cautelari estremamente rigide. Tale difesa nei confronti della salute non ha però fondamenti scientifici diretti; potrebbe anche avere un seguito se si facesse riferimento all’uso dell’estragolo come singola sostanza chimica (ad esempio come additivo alimentare), ma non è così; il timore della tossicità è attribuito impropriamente al pool di sostanze che sono il risultato del processo fitochimico della pianta. Relativamente all’estragolo assunto unitamente ai costituenti chimici naturali dell’estratto o dell’alimento, consumati da sempre dall’umanità, si viene a distinguere la natura del discorso riguardante l’estragolo puro. FAO e WHO si sono posizionati invece su livelli molto più rassicuranti, mentre FAO e OMS pongono importanza sul fatto che l’uomo non assume estragolo in forma isolata e a dosaggi elevati, ma solo a piccolissime dosi ed all’interno di un pool di sostanze presenti in alimenti e piante officinali; ipotizzano che il metabolismo di questa sostanza sia significativamente diverso nell’uomo da quello che è stato osservato in vitro ed in vivo come sostanza isolata.
È necessario evidenziare che, secondo moderne indagini antropologiche ed evoluzionistiche, il mantenimento di determinate abitudini alimentari è associato ad una migliore capacità di sopravvivenza; non è quindi né utile né costruttivo puntare il dito sulla sostanza contenuta in una pianta senza considerare altri fattori che sono determinanti. Tutto sommato, di fatto, il finocchio rientra in abitudini alimentari e mediche antiche ed ha sempre conservato una reputazione positiva.
Autore: Fabio Milardo. – Visita il Blog