Trascorrendo poche ore all’aria aperta la carenza di vitamina D è comune a circa l’80% della popolazione: ecco alcuni miti da sfatare sull’interferenza delle creme solari
A differenza delle altre vitamine, che assimiliamo interamente dal cibo, la vitamina D è prodotta per l’80% dal nostro organismo. Tutto ha inizio nel fegato a partire dal colesterolo (precursore di ormoni steroidei e acidi biliari), il quale, legato a una lipoproteina e tramite il torrente circolatorio, arriva nella cute. Quando la pelle è esposta al sole attraverso i raggi UVB si sintetizza la pro-vitamina D3; in presenza di un’elevata temperatura si passa poi alla vitamina D3 o colecalciferolo, la quale viene trasportata (sempre dalle lipoproteine) di nuovo al fegato dove, insieme alla vitamina D estratta dagli alimenti, viene trasformata in 25-idrossi-vitamina D3 o calcidiolo. Da qui, sempre tramite le lipoproteine, raggiunge le singole cellule dove viene trasformata in 1,25-idrossi-vitamina D3 o calcitriolo, la forma attiva.
Questione di fototipo
Uno dei fattori determinanti che influisce sulla produzione di vitamina D, è la pigmentazione naturale della pelle, ovvero la quantità di melanina presente, facilmente individuabile a occhio nudo. I diversi tipi di pelle sono stati suddivisi da Fitzpatrick e poi classificati in vari fototipi individuabili nella tabella di fianco. La melanina rappresenta un mezzo di difesa dell’epidermide intensa quanto maggiore è l’intensità dei raggi solari nella zona geografica di provenienza; ovvero più la pelle è scura più intensa è la radiazione, quindi meno ci si scotta e meno vitamina D si produce nello stesso lasso di tempo rispetto a una pelle chiara.
Crema solare sì o no?
Per evitare di scottarsi si consiglia per l’esposizione al sole l’applicazione di una crema solare in base al fototipo cutaneo, partendo dalla protezione massima, ovvero quella con SPF 50+ per il fototipo I e scalando progressivamente fino al fototipo IV in cui basta una crema con SPF 20. In genere sull’etichetta del cosmetico compare il fattore di protezione solare o SPF espresso con un numero, ad esempio 50+, il quale indica la quantità di radiazione assorbita in percentuale dal filtro, che è pari, in questo caso, a 1/50 della radiazione UVB, cioè ne blocca il 98% e ne lascia passare il 2%. Ad esempio già una crema con SPF 15 (protezione media) contiene un filtro solare, che assorbe circa il 95% della radiazione solare UVB, quindi impedisce la sintesi di vitamina D. Come sappiamo sono proprio i raggi UVB a causare le scottature, ma d’altro canto è sempre la radiazione UVB a innescare la reazione per la produzione della vitamina D.
I consigli del farmacista: i bagni di sole
Quando il cliente che desidera innescare una maggiore produzione di vitamina D si rivolge al farmacista, quali consigli e indicazione gli possono essere offerti? Un primo suggerimento può riguardare i bagni di sole sicuri. Basta esporre due-tre volte a settimana mani, braccia e gambe (circa il 25% della superficie corporea) per un lasso di tempo pari al 50% del tempo massimo di esposizione (MED o minina dose eritematogena), che è quello oltre il quale si verifica la comparsa della scottatura solare. In pratica basta esporsi pochi minuti al sole senza protezione per innescare la produzione di vitamina D (dalle 10 alle 15 del pomeriggio, meglio ancora alle 12) senza incorrere nel rischio di procurarsi scottature solari. Per un’esposizione prolungata però ecco che entra in gioco la crema solare. Uno studio in vitro suggerisce che la vitamina D viene degradata dai raggi UVA2 (315-340 nm) mentre i filtri solari UVB bloccano la sua produzione, perciò usare creme solari con protezione UVB/UVA è raccomandabile e vivamente consigliato.
Articolo tratto da FarmaciaNews