Scrivo in un ritaglio di tempo, tra un tampone e l’altro, tra un turno e l’altro. Il caffè che ci prepariamo in farmacia a inizio pomeriggio resta un piccolo momento di pace, in cui ci obblighiamo a lasciare squillare il telefono senza rispondere.
Sento la fatica fisica e mentale di questi due anni sfociare in un born-out palpabile che vivo sulla mia pelle e noto su quella delle mie colleghe: posso ammettere che questi ultimi mesi in cui Omicron ha iniziato la sua ascesa prepotente siano i più pesanti che noi farmacisti abbiamo vissuto da inizio pandemia.
L’avvento dei contagi, le mascherine introvabili, i pazienti che si ammalavano, i pazienti che morivano a distanza di pochi giorni, l’ossigeno e i farmaci indispensabili che scarseggiavano, le ondate di contagi, la campagna vaccinale: tutto mi è sembrato meno pesante di ciò che si sta accumulando ora. Saranno forse gli anni faticosi che si sono susseguiti, sarà che il vaso della pazienza e dell’adattamento inizia a riempirsi fino al colmo, sarà che la farmacia è sempre più un polo di servizi e di presenza certa, quasi l’unica a tratti, sul territorio, sarà tutto ciò a renderci ora estremamente vulnerabili.
In una giornata di inizio anno, abbiamo raggiunto quasi le seicento telefonate giornaliere, quasi una al minuto. Nei medesimi giorni, ho risposto a una cinquantina di messaggi al mio cellulare anche da chi il mio numero privato non so come possa averlo avuto o da chi non sentivo da anni e che, per richiesta di aiuto, si presentava come quella vecchia amicizia dei tempi del liceo. Gli argomenti sempre i medesimi in loop: tampone, quarantena, isolamento, positività, ffp2.
Nonostante la ricerca di pace per qualche giorno tra la neve, chiamate e richieste mi hanno perseguitata impedendomi di staccare effettivamente dal caos che regnava nella nostra farmacia e nei pensieri di molti. Mi sono resa conto di quanto fare il farmacista in questa epoca sociale sia avere tra le mani lo scettro del potere di aiuto e non sempre è così semplice da gestire, perché il rovescio della medaglia eccome se c’è ed è tutto dentro di noi: è il rammarico per non aver potuto aiutare né tutti coloro che ci contattano, né noi stesse stanche e confuse.
In mezzo a medici oberati o assenti, in mezzo ad ATS al collasso, in mezzo a burocrazia in continuo cambiamento, il farmacista resta il punto di riferimento per capire, curare, consigliare. Il farmacista c’è, risponde, cerca la soluzione, aiuta, fa straordinari, si fa in quattro e, in tutto questo, lo scopo di lucro, come molti sogghignando fanno intendere ammirando le code fuori dalle nostre farmacie, è ben lontano.
Il guadagno su mascherine, tamponi e servizi relativi al covid è ben diverso da ciò che chiunque potrebbe immaginarsi e che qualche testata giornalistica fa tuonare in prima pagina: il vero guadagno sarebbe il tempo libero goduto degnamente, sarebbe aver svolto una campagna vaccinale adeguata, sarebbe avere un sistema che non vada al collasso all’ennesima ondata, sarebbe avere tempo di insegnare a un giovane farmacista quanto il nostro lavoro sia grande, sarebbe poter tornare a svolgere la nostra professione amata di consiglio, sensibilizzazione, prevenzione e cura senza il telefono che squilla in continuazione, né i plexiglass a dividerci.
Questo sarebbe il vero guadagno; tutto il resto che vediamo oggi è una corda che tira, che ci sta molto stretta, ma alla quale ci adattiamo per poter dire un giorno di esserne finalmente fuori.
Articolo tratto da http://nutrirelasalute.farmacista33.it/un-inizio-2022-da-farmacista/