Come è cambiata la società durante il Covid?
Quale sarà l’eredità del Covid in ambito di salute?
Si tratta di un fenomeno che ha coinvolto le persone e le istituzioni. In questo contesto, le farmacie hanno giocato un ruolo centrale. Ora spetta ai farmacisti e alle farmaciste proporsi
come attori di welfare insostituibili.
Il Covid-19 è stato un evento talmente grande che è difficile darne una descrizione efficace. A ben vedere anche chiamarlo “evento” è riduttivo.
Si tratta di un processo ancora in atto. Un fenomeno che ha avuto effetti su tutti i piani della vita. Ha coinvolto le persone e le istituzioni. Ha seminato panico, morte e dolore. E le sue conseguenze si protrarranno per decenni.
In questo contesto, le farmaciste e i farmacisti hanno giocato un ruolo centrale. La farmacia du- rante i lockdown è stata come una boa in un mare in tempesta, un luogo che ha diffuso fiducia e sicurezza. Come tutti sanno, perché tutti ne hanno usufruito, in farmacia si è potuti entrare in qualsi- asi orario e, grazie alla sua capillarità sul territorio, in qualsiasi luogo.
Durante i vari lockdown sono entrate quotidia- namente nelle oltre 19.000 farmacie italiane centinaia di migliaia di persone. In un periodo
di contagi virulenti, i farmacisti hanno pagato un prezzo altissimo: 30 farmacisti e farmaciste sono morti per fare il loro lavoro (dato al 30 aprile 2021). Dunque, i farmacisti italiani, al pari degli altri professionisti sanitari, hanno contribuito in modo eroico al contenimento del virus.
Fatta questa premessa, si può discutere sul ruolo che la farmacia sarà destinata ad assolvere nella società futura. Per affrontare questa discussione è necessario fare alcune considerazioni sociolo- giche un po’ più ampie.
Come è cambiata la società durante il Covid? Quale sarà l’eredita del Covid in ambito di salute?
Chiaramente le risposte sono molteplici. Si pos- sono però elencare almeno tre punti connessi con la farmacia.
1. Viviamo in una società sempre più medicaliz- zata. Con il Covid abbiamo assistito a una medicalizzazione fortissima della società. Il nostro linguaggio è stato invaso dal lessico medico: incidenza, falso positivo, sierologico, molecola- re, varianti, immunità di gregge. Così come la nostra vita quotidiana è stata invasa da oggetti medici: mascherine, liquidi igienizzanti, tamponi, saturimetro etc. Come testimonia una ricerca recente di Confindustria Biomedicale, anche
il comparto biomedicale ha visto un radicale mutamento di immagine. Con il Covid, il biome- dicale è divenuto un oggetto della quotidianità mentre prima veniva identificato con la strumen- tazione per anziani non autosufficienti.
2. In questo contesto, la salute è divenuta sem- pre più centrale nell’immaginario degli italiani, e anche nella loro vita concreta. La medicalizzazione della vita, che il Covid ha trainato e ci ha imposto, ha portato la salute al centro dell’attenzione degli italiani.
Se negli ultimi anni la politica italiana ha avuto come focus della sua agenda la questione della sicurezza – tra l’altro, ad avviso di chi scrive, co- struita in modo esagerato ed esasperato – oggi è la salute ad essere protagonista.
Non si è mai parlato di sanità come in questi mesi: di come essa debba essere organizzata, dell’importanza del territorio, delle cure pri- marie. Non è un caso che in molte città, per queste elezioni amministrative, vi siano state liste elettorali sul tema della salute (es. Milano in Salute) e numerosi candidati sindaci e candidati al consiglio comunale provenienti dal mondo della sanità.
3. Nella società futura avranno molto peso il rischio e la sorveglianza. Il rischio è la possibili- tà che si verifichi un evento avverso, nel nostro caso il contagio. Il rischio interviene in termini
di calcolo delle probabilità. Mettiamo la mascherina per ridurre il rischio. Evitiamo luoghi affollati e chiusi per ridurre il rischio. Cerchiamo il più possibile di evitare contatti. Quasi incon- sciamente facciamo dei calcoli mentali quando incontriamo persone nuove rispetto alla loro possibilità di essere portatori del virus, questo anche se siamo vaccinati. Ma c’è un altro significato di rischio. Il Covid-19 ha mostrato la nostra vulnerabilità ai virus. Se anche riusciremo a sconfiggere il Covid, c’è sempre il rischio che un altro virus ritorni.
Abbiamo scoperto che siamo fragili e indifesi. Per questo si aumenta la sorveglianza. L’11 settembre ha accresciuto la sorveglianza poliziesca, il Covid ha aumentato la sorveglianza medica. Ad esempio, quando salia- mo sui treni dobbiamo farci misurare la febbre. Saremo sempre più “sorvegliati”. Chiaramente a fin di bene.
Come inciderà sulla farmacia questo scena- rio?
La farmacia durante il Covid ha potenziato la sua vocazione ad essere “La farmacia dei ser- vizi” (ho scritto un libro con questo titolo nel 2001, per FrancoAngeli con C. Cipolla). In questi quasi due anni, la farmacia si è legittimata come istituzione, al di là degli aspetti commerciali. Soprattutto durante i vari lockdown, la farmacia si è caratterizzata come un luogo ad alta intensità cognitiva (informazioni, expertise) ed emotiva (supporto). Senza nulla togliere alle grandi potenzialità del digitale, in farmacia, le persone, soprattutto quelle anziane, che spesso non usa- no bene internet, hanno potuto appoggiarsi a relazioni umane.
Sappiamo quanto il digitale abbia modificato le nostre vite, sappiamo quanto, soprattutto nella sanità, app, piattaforme e e-care siano fonda- mentali, ma non dimentichiamo che la cosiddet- ta digital literacy, la competenza digitale, non
è equamente distribuita: proprio le persone
più fragili, anche se autosufficienti, sono quelle hanno necessità di rapporti umani – sia cognitivi, sia emotivi (per usare le espressioni che abbiamo introdotto poc’anzi). In farmacia vengono miscelate competenza e umanità, tecnologia e supporto alla persona.
Abbiamo visto, stiamo vedendo, che la possibilità di fare tamponi in modo rapido ed economico che la farmacia permette è una delle chiavi di volta al contrasto dell’epidemia.
Sarebbe inoltre interessante indagare quanto la possibilità di fare il vaccino in farmacia possa essere di stimolo per persone titubanti. Infatti, la fiducia di cui gode la farmacia potrebbe avere un effetto di rassicurazione su alcuni tipi di “esitanti” (come li chiama la psicologa Guendalina Graffigna).
Questi ultimi due servizi (tamponi e vaccinazioni), se mai ce ne fosse bisogno, hanno consacrato la farmacia come presidio sanitario sul territorio. Le farmacie sono inoltre facilmente accessibili e non intimoriscono, mentre i grandi policlinici sono vissuti come burocrazie kafkiane difficili da raggiungere e spesso alienanti al loro interno.
Il Covid ci ha insegnato che è dal territorio che si costruisce la salute. Le farmacie hanno potuto mostrare la loro forza, elasticità e competenza. Hanno un potenziale enorme. Possono diventare il luogo primario della prevenzione oltre che della gestione delle emergenze. Possono diventare – ancora più di quanto non facciano attualmente lo snodo che connette in modo flessibile, articolato e sicuro i bisogni di salute della comunità con l’offerta, a volte farraginosa e troppo lenta, del Servizio Sanitario Nazionale.
Ora spetta ai farmacisti e alle farmaciste valoriz-zare questa enorme e insostituibile funzione e proporsi come attori di welfare insostituibili. Per farlo, però, è necessario che i farmacisti, manten- gano quell’approccio e quella cultura mostrata durante l’emergenza Covid.
Devono crederci, insomma.
di Antonio Maturo,
Professore di Sociologia della salute, Università di Bologna – Tratto da Nuovo Collegamento